La scoperta –in origine- di
Julius Evola, figura marginalizzata durante il regime fascista,
l’attenzione nei confronti della cultura rivoluzionaria conservatrice tedesca,
l’idea europeista (in alternativa alle superpotenze Usa-Urss), la critica non
qualunquista alla partitocrazia, il rifiuto di quella “politica
nostalgica”, praticato da certa destra, attenta –parole di Rauti– agli
“applausi degli ultimi habituès dei comizi e i relativi,
ricercatissimi voti preferenziali”, furono le basi di una strategia
politico-culturale in divenire, che, con gli anni, seppe misurarsi con le nuove
emergenze, prefigurando scenari riaggiornati e nuovi ambiti d’intervento.
Presentando, nel 1966, il periodico
“Noi Europa”, Rauti evocava non l’Italia del Ventennio, ma una Nazione
soffocata dall’ “abito stretto” dei suoi ritardi, “costretta a vivere sulla
base di leggi superate, di regolamenti confusi, di norme incredibilmente
arcaiche”. E, con il rientro, nel 1969, nel Msi, lanciava il suo
“progetto” culturale, quello dello “sfondamento a sinistra”, invitando il mondo
missino a superare certa retorica d’ambiente (“della Patria e della Nazione è
doveroso, e bello parlare, e anche dell’Europa e del mondo occidentale; ma non
basta”), ponendo sul tappeto le nuove tematiche della modernità: quelle legate
all’urbanesimo, all’ecologia, alla scienza e alla tecnologia, alla congestione
industriale, ai risvolti negativi della crescita italiana.
A quelle analisi, a quelle
“fonti” culturali si è richiamato, anche in anni non facili e “di
piombo”, il movimentismo giovanile “di destra”.
Da lì, dal demonizzato
“rautismo”, venne l’idea dei Campi Hobbit, delle cosiddette “iniziative
parallele”, delle associazioni ambientaliste, delle cooperative librarie, dei
gruppi femminili, delle radio libere, del movimento giovani disoccupati, tutti
strumenti inventati per fuoriuscire dalla sindrome del nostalgismo e dallo
scontro generazionale post sessantottesco.
Strumenti a cui si affiancava una
non banale rilettura culturale e politica della realtà, che
evidenziava, già allora, l’usura della vecchia dicotomia destra-sinistra, che
preconizzava la fine del comunismo, che “reinterpretava” il fascismo-movimento,
criticando il fascismo-regime, che paventava i rischi del “mondialismo”, che
guardava all’Europa, quale alternativa geopolitica e spirituale.
Tutto questo e molto ancora è stato
il “rautismo”. Che fu “duro e puro” nella volontà politica e culturale ed
insieme capace di non sclerotizzarsi nel radicalismo, tipico della vecchia
destra, e che cercò di essere un passo avanti, rispetto alle contingenze e alle
emergenze del momento.
Non sempre ci riuscì, pagando lo
scotto dell’opportunismo politico e dell’essere oggettivamente minoranza
all’interno di una minoranza. Ciò che riuscì a “seminare” resta comunque come
un esempio della volontà di rinnovamento culturale e politico, sviluppata
da destra, a partire dagli Anni Settanta del ‘900.
Mario Bozzi Sentieri