sabato 29 settembre 2012

UNA RIPARTENZA (PER IL CENTRODESTRA) E' POSSIBILE?


“Oportet ut scandala eveniant”. Anche una frase evangelica può aiutare a “riposizionarsi” rispetto al fattaccio brutto della Regione Lazio, punta d’iceberg di un più generale disagio, non solo politico, verrebbe voglia di dire “antropologico”,  del popolo del centrodestra.
Sì, certi scandali è opportuno che vengano alla luce, se poi questo serve a prendere coscienza, a guardarsi allo specchio, interrogandosi sul percorso fin qui compiuto e a cambiare rotta.
Sia chiaro. Non ci interessano le articolesse sui valori perduti e da ritrovare. Lasciamo ad altri di fissare il confine, in verità troppo sottile, tra restyling  (nuovo nome, nuovo simbolo, nuovo inno ?)  ed autentica volontà “rifondativa”. Non entriamo  nelle guerre interne e nelle rese dei conti, causa/effetto di certi scandali “ad orologeria”.
Quello che  ci preme piuttosto sottolineare metodologicamente è un’ assunzione di responsabilità, che vuole essere ripensamento personale e generazionale, rispetto alle esperienze fin qui compiute da parte della destra politica, nell’ arco dell’ultimo ventennio, esperienze  che, seppure con diverse graduazioni, non salvano nessuno.
A cominciare da chi certe scelte le aveva fatte, da giovane, con spirito militante, senza cercare tornaconti personali e facili carriere, restando poi travolto dall’ebbrezza del potere raggiunto, magari non in prima persona.
Quella parola, “Vittoria”, sparata a tutta pagina nel marzo 1994, fu – per molti – una sorta di sbornia collettiva, eccitante, sconclusionata, squilibrata, come tutte le sbornie. Appagati nello scoprire vecchi amici, frequentati appena qualche anno prima, nei sottoscala della politica,  ora diventati ministri e sottosegretari, grand commis di Stato e protagonisti dei salotti televisivi, ci siamo, chi più chi meno, inebriati per l’insperabile “sdoganamento”.
Che cosa poi certi “amici” facessero veramente e quanto la loro attività incidesse per realizzare l’auspicato cambio di rotta, appariva come un dettaglio, messo in ombra dal ruolo occupato. Bastava questo ed avanzava per garantire il “progetto”.
Magari qualche piccolo segnale c’è stato: la tenuta di certe posizioni etiche, un po’ di Patria e Tricolore (peraltro riscoperti in modo traversale); lo sdoganamento informativo (libertà minima in qualunque sistema che sia veramente democratico), seppure limitato alla cronaca politica, ma con scarsissima rilevanza per il mondo della cultura, sempre monopolizzato dai soliti noti; l’entrata nei salotti buoni della politica e della società (ma con scarsa incidenza decisionale).
In compenso, ci si è dimenticati, ci siamo dimenticati, di avere letto e metabolizzato, per curiosità e necessità, il Gramsci del “potere culturale”, dell’ “egemonia” in grado di consolidare e radicare il consenso politico. Ci siamo lasciati convincere che il tempo delle ideologie, forse anche delle “idee forti”, era al tramonto e che, di conseguenza, anche i partiti dovevano perdere di peso e di struttura organizzata, nel nome di un non ben chiaro “modello anglosassone”. Abbiamo anche trascurato, travolti  dalla politica-del-giorno-per-giorno, idee e programmi, con cui avevamo riempito tomi enciclopedici, parlando di identità e tradizione, famiglia e lavoro, partecipazione sociale e modernizzazione, meritocrazia e lotta ai privilegi, sussidiarietà e solidarietà…Non solo –sia chiaro– valori da enunciare, ma idee che si sarebbero dovute trasformate in programmi ed in azioni concrete di governo, secondo il più volte citato insegnamento poundiano delle “idee che diventano azioni”.
Passata la “sbornia” che cosa rimane ? La consapevolezza degli errori compiuti, delle sottovalutazioni, delle improvvisazioni, delle amnesie, di quello che doveva essere fatto e non è stato fatto. E’ già qualcosa. Da lì bisogna partire. Evitando di piangersi addosso sul tempo perduto, ma anche mettendo da parte facili giustificazionismi.
Un ciclo si compie. E non solo nella politica nostrana. Molto c’è da discutere nei modelli gestionali, economici e culturali che fin qui hanno dettato legge. Gli stessi partiti vanno ripensati nella loro  organizzazione  e nella capacità di selezionare classi dirigenti, ai vari livelli, dal locale al nazionale.
Preso atto degli errori fatti e passati gli stordimenti “da potere”, si torni a guardare alla realtà con quello spirito critico, con quella volontà “alternativa”, con quella capacità creativa che sono state alle origini delle scelte che hanno segnato, a destra, intere generazioni. Lo spazio c’è ancora tutto. Va solo riempito. Di atti ed esempi. Certamente non di vuote  parole o di meri auspici.
Mario Bozzi Sentieri