Oggi
31 marzo 2014 ricorre il trentennale della barbara uccisione di Renata Fonte, la prima donna vittima di
mafia in Salento. La sua storia è una di quelle storie che tutti dovrebbero
conoscere. La storia di una donna onesta e caparbia, convinta che tutto potesse
essere discusso alla luce del sole. Su questa sua convinzione non ammetteva
deroghe e la sua onestà le costò la vita. Era una persona fuori dal comune
Renata. Caparbia e determinata nel 1982 si candida alle Amministrative del
comune di Nardò, in provincia di Lecce, per il Partito Repubblicano Italiano
diventando prima consigliere comunale e successivamente assessore con vari
incarichi nel tempo. E' nel momento in cui comincia a dirigere il
"Comitato per la tutela di Porto Selvaggio" che la sua esistenza
prende un corso diverso. Renata Fonte si espone mediaticamente prendendo
posizione contro la speculazione edilizia che, in nome di ingenti interessi
economici, mira a deturpare una zona paesaggistica suggestiva e tra le più
belle del Salento. Lei non può immaginarlo ma la sua presa di posizione va ad
intaccare interessi ulteriori rispetto ai meri interessi economici. C'è del
sommerso criminale e nel momento in cui la donna ottiene che quell'area venga
riconosciuta "Parco naturale" con legge regionale firma
inconsapevolmente anche la sua condanna a morte. Il 31 marzo del 1984 viene
messa a tacere per sempre.E' sera tardi e Renata Fonte è appena uscita da un
consiglio comunale. Mentre è sulla strada del ritorno a casa viene inseguita da
due sicari che esplodono tre colpi di pistola ferendola a morte. Le indagini
partono immediatamente e dopo tre gradi di giudizio porteranno ad
individuare e condannare come responsabile e mandante dell'esecuzione un
collega di partito della donna che risulta essere il primo dei non eletti della
stessa lista e che avrebbe agito spinto da un forte risentimento nei suoi
confronti. Le indagini riveleranno anche che la circostanza si collega in un
tutt'uno con un piano criminale ben studiato che mira a punire l'attività di
difesa del territorio di Renata Fonte con la quale la donna si era resa
colpevole di aver ostacolato il concretizzarsi delle speculazioni edilizie
funzionali ad attività di mafia.
Questa
vicenda ci insegna che la criminalità è un nemico sommerso da combattere ad
ogni costo e con ogni mezzo. Dove la politica lascia aperte deroghe all'onestà
lì si palesa la sua vulnerabilità. Connivenze impronunciabili coprono alleanze
che infettano il tessuto sociale. Dove lo Stato latita lì si insinuano le mafie
sostituendo alla cultura del diritto quella del privilegio criminale. A tutto
questo c'è un'unica soluzione: la terapia della resistenza in nome dell'onestà.
Tiziana Montinari - Referente Territoriale Lecce Dipartimento Tutela Vittime
FdI-An