Alemanno condannato:
«Non sono corrotto, certe nomine la mia buccia di banana»
IL MESSAGGERO Martedì 26 Febbraio
2019 di Simone Canettieri
Gianni Alemanno lo ripete due
volte. Appena apre la porta e mentre la sta per chiudere dopo un’ora e mezza:
«Io non sono un corrotto né un criminale, è giusto che i romani lo sappiano.
Quando ho smesso di fare il sindaco, nel 2013, ho venduto una casa e ne ho
ipotecata un’altra per pagare la campagna elettorale, persa. Sono scivolato su
una buccia di banana, perché ero impegnato a guardare in alto, a correre dietro
alla città. Ho sbagliato alcuni collaboratori, come Franco Panzironi, questo
sì. Un sindaco fa 100 nomine, qualcuna di queste per me è stata fatale. Ma può
un sindaco rispondere anche dell’azione amministrativa di chi gli sta intorno?
Perché io sì e gli altri no?».
Pausa. Sorriso amaro: «Ora
rileggerò tutte le carte in vista dell’appello». Fra un anno. «Già, mi salveranno
le scalate ad alta quota, le mie letture sul sovranismo e la fede». A chi è
devoto Gianni Alemanno? «A San Sebastiano. Non so se rendo l’idea...». Segue
una smorfia.
La confisca di quasi 298mila euro la spaventa?
«Non ho beni per questa cifra, non
so come farò». Ha paura del carcere? «No, ho il timore che la mia storia e la
mia passione per Roma escano infangate da questa vicenda. Faccio politica dagli
Anni ‘70, ho vissuto nelle ingiustizie, quando dicevano che i fratelli Mattei
erano morti per una faida tra fascisti. Ma sono cresciuto anche nel mito di
Borsellino. Lo conobbi, da ragazzo».
Alemanno è seduto sul divano di
casa. Un appartamento al primo piano, nella comoda Roma Nord. Il bulldog
francese Frodo, nome tolkieniano, è chiuso nelle altre stanze. Di là, nello
studio, l’ex sindaco ha due scaffali dedicati alle carte dell’inchiesta. Ogni
tanto prende un faldone. Alle pareti due articoli del Financial Times di quando
venne eletto in Campidoglio. C’è anche un quadretto con un motto di arti marziali:
immobile nella tana, veloce nel mondo, sa essere nel tempo, tra la corsa e il
silenzio. La fidanzata, Silvia Cirocchi di 20 anni più giovane e compagna di
giri in moto, entra e esce dalla sala. Ha un bel sorriso che serve anche a
sdrammatizzare: «Se stasera usciremo? No, staremo a casa, c’è di buono che sono
romagnola, cucino bene. E non mancherà il Sangiovese: cura tutto».
Alemanno, oggi lei è stato condannato a sei anni per corruzione e
finanziamento illecito. L’accusa ne chiedeva cinque. È tentato di dire che si
tratta di una sentenza politica?
«Voglio leggerne le motivazioni.
Di sicuro - dice l’ex sindaco, già ministro dell’Agricoltura e icona della
destra sociale tra Msi e An - con me si chiude il teorema Mafia Capitale, l’ho
percepito anche in aula. Anche se non capisco come potrei essere, secondo i
giudici, il riferimento politico di un’associazione mafiosa per cui è stato
condannato Panzironi e da cui sono stato prosciolto».
Ha pagato l’Hybris, la tracotanza di quando era al potere? Perché si
circondò di alcuni personaggi improponibili?
«So dove vuole arrivare: io con
Massimo Carminati non ci ho mai parlato, nemmeno quando eravamo ragazzi. Anzi,
so che lui mi riteneva, per la mia svolta nelle istituzioni, uno che aveva
tradito l’ideale. Non è una storia di ex camerati, come vorrebbe il teorema.
Panzironi poi si vantava di essere un democristiano».
Ma lei ha preso finanziamenti da Salvatore Buzzi, il re delle coop
rosse. Possibile che non si sia mai chiesto perché quest’uomo le dava tutti
quei soldi?
«Appena eletto non volevo passare
per il sindaco fascista che non dialogava con il mondo della sinistra, e così
intrapresi questo rapporto, convinto che magari mi sarebbero arrivati voti da
sinistra. Ma mai mi sarei potuto immaginare il sodalizio con Carminati. E
questi finanziamenti arrivavano da mille sigle differenti».
Se Buzzi le dava i soldi per la sua fondazione, poi era normale che in
cambio volesse dei favori o no?
«A parte che mi sono stati
accollati anche 70mila euro mai contabilizzati e 30 mila euro per la fondazione
De Gasperi di Alfano con la quale non c’entravo nulla. Buzzi mi chiamava per
sbloccare crediti pubblici e io da amministratore un po’ mi vergognavo che la
macchina amministrativa non riuscisse a dare risposte. E così mi attivavo. Il
problema è un altro ed è quello dei finanziamenti: cosa deve fare un
politico?».
Avere mille occhi.
«Questo è stato il mio limite,
non controllare alcuni personaggi che mi ruotavano intorno. E che alle mie
spalle tramavano con altri».
Rileggendo le intercettazioni si è sentito un utile idiota?
«Non lo so, forse sì. Di sicuro
sono stato schiacciato da un meccanismo incredibile».
Raggi e il M5S stanno commentando così: prima di noi c’era Mafia
Capitale con Alemanno.
«Fossi in Raggi sarei cauto. La
ruota gira e mi sembra che anche lei abbia avuto qualche problemino».
Negli Anni ‘80 Alemanno sfilava contro «i democristiani corrotti».
«Non me ne pento, io sono un uomo
pulito, ho fatto la gavetta, conosco quanto la politica possa essere feroce.
Due miei ex collaboratori nemmeno hanno voluto testimoniare per me».
Quali politici l’hanno chiamata in queste ore?
«Mi aspettavo più solidarietà. Ho
sentito: Gasparri, Marsilio, Rampelli, La Russa. Ma non Berlusconi».
È saltata la sua candidatura alle Europee con la Lega.
«Avevamo un discorso aperto se
fossi uscito pulito. Non avevo nemmeno accettato di patteggiare, tanto ero
sicuro di uscirne indenne. Ma ormai...».
Cosa ha detto a suo figlio?
«Di credere in suo padre. Ma è
stato più difficile spiegarlo a mia madre, che ha più di 90 anni».
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