“Oportet ut scandala eveniant”. Anche una frase
evangelica può aiutare a “riposizionarsi” rispetto al fattaccio brutto
della Regione Lazio, punta d’iceberg di un più generale disagio, non solo
politico, verrebbe voglia di dire “antropologico”, del popolo del
centrodestra.
Sì, certi scandali è opportuno che vengano alla
luce, se poi questo serve a prendere coscienza, a guardarsi allo specchio,
interrogandosi sul percorso fin qui compiuto e a cambiare rotta.
Sia chiaro. Non ci interessano le articolesse
sui valori perduti e da ritrovare. Lasciamo ad altri di fissare il
confine, in verità troppo sottile, tra restyling (nuovo nome, nuovo simbolo,
nuovo inno ?) ed autentica volontà “rifondativa”. Non entriamo nelle guerre
interne e nelle rese dei conti, causa/effetto di certi scandali “ad orologeria”.
Quello che ci preme piuttosto sottolineare
metodologicamente è un’ assunzione di responsabilità, che vuole essere ripensamento
personale e generazionale, rispetto alle esperienze fin qui compiute da
parte della destra politica, nell’ arco dell’ultimo ventennio, esperienze
che, seppure con diverse graduazioni, non salvano nessuno.
A cominciare da chi certe scelte le aveva fatte,
da giovane, con spirito militante, senza cercare tornaconti personali e
facili carriere, restando poi travolto dall’ebbrezza del potere raggiunto,
magari non in prima persona.
Quella parola, “Vittoria”, sparata a tutta
pagina nel marzo 1994, fu – per molti – una sorta di sbornia collettiva,
eccitante, sconclusionata, squilibrata, come tutte le sbornie. Appagati
nello scoprire vecchi amici, frequentati appena qualche anno prima, nei
sottoscala della politica, ora diventati ministri e sottosegretari, grand commis
di Stato e protagonisti dei salotti televisivi, ci siamo, chi più chi meno,
inebriati per l’insperabile “sdoganamento”.
Che cosa poi certi “amici” facessero veramente e
quanto la loro attività incidesse per realizzare l’auspicato cambio di
rotta, appariva come un dettaglio, messo in ombra dal ruolo occupato.
Bastava questo ed avanzava per garantire il “progetto”.
Magari qualche piccolo segnale c’è stato: la
tenuta di certe posizioni etiche, un po’ di Patria e Tricolore (peraltro
riscoperti in modo traversale); lo sdoganamento informativo (libertà minima in
qualunque sistema che sia veramente democratico), seppure limitato alla cronaca
politica, ma con scarsissima rilevanza per il mondo della cultura, sempre
monopolizzato dai soliti noti; l’entrata nei salotti buoni della politica e della
società (ma con scarsa incidenza decisionale).
In compenso, ci si è dimenticati, ci siamo
dimenticati, di avere letto e metabolizzato, per curiosità e necessità, il
Gramsci del “potere culturale”, dell’ “egemonia” in grado di consolidare e
radicare il consenso politico. Ci siamo lasciati convincere che il tempo delle
ideologie, forse anche delle “idee forti”, era al tramonto e che, di conseguenza,
anche i partiti dovevano perdere di peso e di struttura organizzata, nel nome di
un non ben chiaro “modello anglosassone”. Abbiamo anche trascurato,
travolti dalla politica-del-giorno-per-giorno, idee e programmi, con cui avevamo
riempito tomi enciclopedici, parlando di identità e tradizione, famiglia e
lavoro, partecipazione sociale e modernizzazione, meritocrazia e lotta ai
privilegi, sussidiarietà e solidarietà…Non solo –sia chiaro– valori da
enunciare, ma idee che si sarebbero dovute trasformate in programmi ed in
azioni concrete di governo, secondo il più volte citato insegnamento
poundiano delle “idee che diventano azioni”.
Passata la “sbornia” che cosa rimane ? La
consapevolezza degli errori compiuti, delle sottovalutazioni, delle
improvvisazioni, delle amnesie, di quello che doveva essere fatto e non è stato
fatto. E’ già qualcosa. Da lì bisogna partire. Evitando di piangersi addosso
sul tempo perduto, ma anche mettendo da parte facili giustificazionismi.
Un ciclo si compie. E non solo nella politica
nostrana. Molto c’è da discutere nei modelli gestionali, economici e culturali
che fin qui hanno dettato legge. Gli stessi partiti vanno ripensati nella loro
organizzazione e nella capacità di selezionare classi dirigenti, ai
vari livelli, dal locale al nazionale.
Preso atto degli errori fatti e passati gli
stordimenti “da potere”, si torni a guardare alla realtà con quello spirito
critico, con quella volontà “alternativa”, con quella capacità creativa che
sono state alle origini delle scelte che hanno segnato, a destra, intere
generazioni. Lo spazio c’è ancora tutto. Va solo riempito. Di atti ed esempi.
Certamente non di vuote parole o di meri auspici.